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Una delle certezze della mia vita è sempre stata il numero di fidanzati: cinque.
Certezza granitica.

L’altra sera ero a prendere un tot di aperitivi con degli amici, quando ex abrupto mi è stato chiesto dei miei ex.
E pensa e ripensa solo quattro riescono a bucare le coltri della mia (scarsa) memoria.

Quattro, non cinque.
Eppure non mi pare di aver dimenticato nessuno per strada.

E adesso che faccio? io non ci riesco a pensarmi con solo quattro fidanzati.
Cinque ce ne sono nella mia Gestalt e cinque devono essere.

Cercasi candidati al posto vacante.
Astenersi perditempo.

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Eclissi nel parco

Stamattina ero in ritardo. Più del solito intendo.
Però mi piaceva l’idea di fare un’altra strada. E poi tutti aspettavano l’eclissi. E non avevo nemmeno troppa voglia di lavorare.
E allora ho deciso di allungarmi ad attraversare il parco.
Era davvero troppo tempo che non lo facevo. Che non me la ricordavo proprio la sensazione dell’erba gelata sotto i piedi.
Il bianco velo che la ricopre in un gelido abbraccio. Il delicato scricchiolio degli steli che si piegano sotto i miei passi. Un passerotto che saltella qua e là.
Ho sorriso. Ed era davvero troppo tempo che non sorridevo al mattino presto.
Ho alzato gli occhi e, incredibilmente, si vedeva il sole.
Il sole che stava andandosene dietro la luna.
Alchimia d’altri tempi capace d’incantare sempre.
Ecco, non so se poi sia stata la fascinazione del momento o più prosaicamente l’erba gelata, ma d’un botto mi son trovata sulla nuda terra.
Non faccio in tempo a smettere di ridere che un’altra ombra, ben più incombente di quella della luna, mi si para davanti:
– Scusi, le è successo qualcosa? Ha bisogno di aiuto?
Certo che no!
– Ma cosa fa lì per terra?
Sto guardando l’eclissi, che altro dovrei fare? Piuttosto, vuol partecipare?
– Solo se dopo mi accompagna a bere un caffè!
Se proprio insiste…

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Specchio specchio delle mie brame…

… che cosa vedi dietro il vasellame?

Occhi ironici color del rame.
Poche rughe, sottili e leggere, ché l’età non è sempre un certame.
Pelle chiara, senza squame.

Una mente libera, senza alcun dettame.
Un cervello barocco, inviso a ogni legame.
Una volontà di ferro, contro ogni pietrame.

E con questo torno alle mie brame
ché le rime infine son sempre ciarpame.

(risposta poco seria a solindue)

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Stivali

Se c’è una cosa di cui proprio non comprendo l’utilità son gli stivali.
O meglio, capisco possano servire se si va a cavallo. O a pescare.
Al più se si va a caccia di coccodrilli nelle Everglades.
Ma per il resto son sempre e solo brutti.
Rendono le gambe tozze e le tagliano a metà.
Roba che se non si è la sorella bella (quella dalle gambe lunghe) di Naomi Campbell proprio non è il caso.
Eppure le donne impazziscono per gli stivali.
Qualcuno mi sa spiegare il perché?

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Sabbia

Son creatura di vento, ma il vento non lo amo.
Lo amo ancor meno quando porta la sabbia. Che son le volte che cammino a testa bassa e non guardo dove vado.
Ecco quel giorno era un giorno così.

Ops, mi scusi, non l’avevo vista… bofonchio a mezza voce al cappotto blu davanti a me.
Detesto finire addosso alla gente. Detesto scusarmi.
Alzo appena gli occhi.
Giulio! O Cristo, era una vita che non ci vedevamo, dov’eri finito?

– IO? Io son sempre stato qui… tu dove sei stata, piuttosto?

Io? In America. In Africa. A far carriera.
Già dove dono stata?
Che poi la storia è sempre quella: io non riesco a stare da nessuna parte.
Mi manca l’aria. Mi sento stretta. Sento presto il bisogno di rimetter la mia vita in una valigia.

Nemmeno qui, in questo spazio virtuale, son riuscita a stare, dopo un po’.
Che poi non è che non ci pensi. Mi mancano gli scambi con Penelope. Con Fabio. Con Alf. Con quell’aquila stordita.
Mi mancano.
Ma non abbastanza da aver voglia di passare e ripassare.
Di esserci davvero.
La solita anaffettiva del cazzo, dicevo.

– Oooooooooohhhhhhhhhhhhhhh c’è qualcuno in casa?

Scusami Giulio, è che i pensieri mi son volati via…

– Sempre così con te. Non son riuscito mai ad averti per più di 10 minuti, del resto. A voler essere ottimisti, dico.

Ma no, dai… non sono così tremenda…

Mi prende per un braccio e senza una parola mi tira fin dentro la bottega di un rigattiere, dall’altro lato della strada.
Senza darmi tempo di aprir bocca mi trascina davanti a un vecchio specchio dalla cornice dorata.

– Guardati. Guardati bene. E dimmi cosa vedi.

Ma non aspetta che io risponda.
Se ne va, chiudendosi piano la porta alle spalle.

Io quello specchio poi l’ho comprato.

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L’anaffettiva

L’anaffettiva sono io.

Sono io quella che non si lega a nessuno. Che non sente il bisogno di nessuno.
Che ha una sua strada che contempla solo se stessa.
Sono io quella che ignora. Quella che non dà attenzioni. Quella che ha sempre altro per la testa.

Veronica ha ragione: vivere con chi non sa corrispondere i propri sentimenti perché non li sa proprio provare è un inferno.
Mi è stato detto più volte, ma vederlo scritto ieri me l’ha reso più vero.

Ciò detto, non riesco a provare sensi di colpa. Ad avere rimpianti. A dispiacermi fino in fondo.
Sono fatta così, anche perché ho scelto di essere così, ché a distruggere si fa meno fatica che a costruire. Ché pensare per sé è più semplice che pensare per due.

E, in fondo, sono sempre e solo dannatamente pigra.
E faccio fatica solo quando la devo fare.
Ma per un uomo, mai.

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Max

Era un giorno di pioggia.
Di acquazzoni primaverili, proprio come oggi.

Max arrivò così, con i capelli biondo-dorati (e la sua vanità non transigeva su questo) grondanti di pioggia sotto un cappello nero che per la pioggia aveva perso ogni forma.

Posso avere riparo per un attimo? disse occhieggiando il mio ombrello.
Molto grande per una persona, non abbastanza per due.
Lo accompagnai fin sotto casa sua. E a quel punto ad essere fradici eravamo in due.

Mi invitò a salire per un the. E solo un the fu.
Almeno quella volta.

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Frenesia

E’ un brivido che nasce sottopelle.
Poi, e nemmeno troppo piano, cresce. Come un’onda che arriva dappertutto.

Voglia di un uomo. Ma non uno qualsiasi e nemmeno uno specifico.
Diciamo di un certo tipo d’uomo.

E guardare l’agenda per vedere se qualcuno ci somiglia. Oppure aggirarsi per la città per scorgerlo tra la folla.
E capire come sia una leonessa che si aggira per la savana di notte.
Gli occhi gialli, i sensi all’erta.
La falcata nervosa.
Odore di caccia.

Insoddisfazione di non sapere esattamente cosa si vuole. Ma di sapere benissimo cosa non si vuole.

Voglia di pelle da sfiorare con la lingua. Di carne dove affondare le dita. Di fiato da respirare.
Che la caccia cominci.
Urgente. Inesorabile.

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Fusi (orari)

Ti posso invitare a cena per quando rientro dal Laos?

– Cena? Laos? Luis, sono le due di notte…

Ma qui a Boston sono le nove di sera

– Sarà, ma io non sono a Boston… e poi che c’entra il Laos?

Vado a tenere un corso all’università.

– Alle due di notte?

No dopo il 10 gennaio. E poi mi mancavi, è iniziato l’anno nuovo e volevo sentirti.

– Alle due di notte? Ma se saranno stati due anni che non ci sentivamo…

Ma a Boston sono le nove di sera…

– E a Kuala Lumpur probabilmente è giorno fatto, ma qui sono le due di notte, cazzarola!

Dormivi?

[memorandum: spegnere il cellulare, anche quello privato, quando si va a letto. Se poi non ci si ricorda di riaccenderlo, pazienza]

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A domanda risposta

– Ma tu mi scoperesti?
No, non ti scoperei.
– E perché?
Perché no.
– Ma, nella remota possibilità che tu cambiassi idea, come lo faresti?
Ti legherei a una sedia. Mani e piedi.
– Ma perché?
E poi ti benderei.
– Ma poi mi faresti male?
– (risata)
– Davvero… mi fa paura l’idea del dolore…
No, proveresti molte sensazioni, ma nessun dolore.
– Uhmmmm…. Ma non lo farai, vero?
No. Assolutamente no.
– Però lo sai che baci benissimo?
Certo che lo so.
– Ma ce qualcosa che non sai?
Che ore sono?

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